AFERESI L'aferesi generalmente è un fenomeno fonetico che consiste nella caduta di una sillaba o di una vocale all'inizio di una parola. Per esempio, l'aferesi è avvenuta nel passaggio dalla parola latina instrumentum all'italiano strumento (per caduta di in-). Nel dialetto osimano l'aferesi di verifica nelle parole che iniziano per vocale seguita da consonante semplice o doppia: educato diventa ddugàdo, incastrare diventa ncastrà (o ncrastà), andare diventa ndà/nnà, ecc. Nelle Marche centrali l'aferesi è molto diffusa: si verifica nel maceratese più o meno come nell'osimano (allevare > lleà, aspettare > špettà) e nell'anconetano un po' di meno, per via della maggiore distensione della parlata (per esempio l'osimano lóra ènne ndadi suona ad Ancona lóro ène andati). Al di fuori del raggruppamento dialettale centro-marchigiano l'aferesi si nota moltissimo nel dialetto romanesco, però limitatamente alle parole inizianti per vocale seguita da m/n/gn (imparare > mparà, infilzare > nfirzà, ogni > gni).
ASSIMILAZIONE
Quando si parla di assimilazione in ambito dialettale ci si riferisce al passaggio di un gruppo consonantico ad un altro, spesso più semplice. Nel dialetto osimano si verifica l'assimilazione progressiva di ND in NN: quando diventa quanno, mandare diventa mannà, andare diventa nnà, ecc. Questa è un'assimilazione comunissima a quasi tutti i dialetti centrali e alto meridionali, presente nel maceratese (quando > quanno), a Roma (tondo > tonno), in Abruzzo, in Campania e in Puglia (quando > quannə); sconosciuta è invece per gli anconetani (rotondo > rutondu) e per i perugini, mentre è diffusa nel sud della provincia di Grosseto, in Toscana (tondo > tonnu).
Nell'Italia centrale e alto-meridionale è anche frequente l'assimilazione MB in MM, conosciuta per esempio a Roma (piombo > pjommo), nel maceratese (gamba > gamma), e in parte del grossetano (gambero > gàmmuru), ma sconosciuta nell'anconetano, nel perugino e nel nostro stesso osimano, sebbene Mons. Carlo Grillantini abbia attestato questo fenomeno nel vocativo Giammattì del nome proprio Giambattista. Quasi sicuramente perciò anche l'osimano un tempo era coinvolto in questo fenomeno, poi regresso.
Meno diffusa nel centro Italia è l'assimilazione LD in LL, valida solo per il vocabolo caldo e i suoi composti. Correntemente presente a Roma (caldo > callo) e nel maceratese (caldaia > callàra), questa assimilazione presenta nell'osimano solo la forma arcaica callu, oggi rimpiazzata dal ben più usato caldo.
Un fenomeno associato all'assimilazione è il passaggio di NG a GN, diffusissimo nel centro Italia e meno frequente nel meridione, che fa sì che da Roma ad Ancona, passando per Perugia, si dica magnà per mangiare, piàgne per piangere, ecc. L'osimano condivide ovviamente il fenomeno (ungere > ógne, tingere > tégne, ecc).
Un fenomeno parallelo all'assimilazione in tutto il centro-sud è la sonorizzazione delle consononati sorde dopo le nasali (NT > ND, MP > MB, NC > NG), che tuttavia esclude Roma, Perugia e l'anconetano. Esso si verifica nel maceratese e nel sud-est dell'Umbria (santo > sandu, campo > cambu, ancora > (a)ngora) e in quasi tutto il meridione. Oggi l'osimano è escluso dal fenomeno, ma, come per MB > MM, si pensa, per via di vocaboli arcaici e rurali come dréndo (da drénto), che anche la sonorizzazione abbia toccato Osimo ma sia poi regressa.
ASSIMILAZIONE
Quando si parla di assimilazione in ambito dialettale ci si riferisce al passaggio di un gruppo consonantico ad un altro, spesso più semplice. Nel dialetto osimano si verifica l'assimilazione progressiva di ND in NN: quando diventa quanno, mandare diventa mannà, andare diventa nnà, ecc. Questa è un'assimilazione comunissima a quasi tutti i dialetti centrali e alto meridionali, presente nel maceratese (quando > quanno), a Roma (tondo > tonno), in Abruzzo, in Campania e in Puglia (quando > quannə); sconosciuta è invece per gli anconetani (rotondo > rutondu) e per i perugini, mentre è diffusa nel sud della provincia di Grosseto, in Toscana (tondo > tonnu).
Nell'Italia centrale e alto-meridionale è anche frequente l'assimilazione MB in MM, conosciuta per esempio a Roma (piombo > pjommo), nel maceratese (gamba > gamma), e in parte del grossetano (gambero > gàmmuru), ma sconosciuta nell'anconetano, nel perugino e nel nostro stesso osimano, sebbene Mons. Carlo Grillantini abbia attestato questo fenomeno nel vocativo Giammattì del nome proprio Giambattista. Quasi sicuramente perciò anche l'osimano un tempo era coinvolto in questo fenomeno, poi regresso.
Meno diffusa nel centro Italia è l'assimilazione LD in LL, valida solo per il vocabolo caldo e i suoi composti. Correntemente presente a Roma (caldo > callo) e nel maceratese (caldaia > callàra), questa assimilazione presenta nell'osimano solo la forma arcaica callu, oggi rimpiazzata dal ben più usato caldo.
Un fenomeno associato all'assimilazione è il passaggio di NG a GN, diffusissimo nel centro Italia e meno frequente nel meridione, che fa sì che da Roma ad Ancona, passando per Perugia, si dica magnà per mangiare, piàgne per piangere, ecc. L'osimano condivide ovviamente il fenomeno (ungere > ógne, tingere > tégne, ecc).
Un fenomeno parallelo all'assimilazione in tutto il centro-sud è la sonorizzazione delle consononati sorde dopo le nasali (NT > ND, MP > MB, NC > NG), che tuttavia esclude Roma, Perugia e l'anconetano. Esso si verifica nel maceratese e nel sud-est dell'Umbria (santo > sandu, campo > cambu, ancora > (a)ngora) e in quasi tutto il meridione. Oggi l'osimano è escluso dal fenomeno, ma, come per MB > MM, si pensa, per via di vocaboli arcaici e rurali come dréndo (da drénto), che anche la sonorizzazione abbia toccato Osimo ma sia poi regressa.
GLI AVVERBI ccuscì E lluscì
L'avverbio di modo italiano così in dialetto osimano si esprime in due modi: ccuscì, che significa così/in questo modo, e lluscì, che vuol dire così/in quel modo. Di queste due forme esistono anche le varianti accuscì e alluscì. Il dialetto osimano ha dunque una struttura bipartita per esprimere questo avverbio, mentre in una fascia che comprende Marche meridionali, Abruzzo, basso Lazio e alta Campania questa struttura è addirittura tripartita, poiché è impiegato anche l'avverbio ssuscì (= così/in codesto modo). L'origine delle tre forme ccuscì, lluscì e ssuscì è parallela più o meno a quella dei pronomi dimostrativi:
- lat. ECCUM SIC "in questo modo" > ccuscì /
ECCUM ISTUM > quistu (quéstu in osimano)
- lat. IPSUM SIC "in codesto modo" > ssuscì /
ECCUM IPSUM > quissu (quéssu in osim.)
- lat. ILLUM SIC "in quel modo" > lluscì /
ECCUM ILLUM > quillu (quéllu in osimano)
In dialetto osimano, sebbene la forma ssuscì non esista, è presente il pronome dimostrativo quéssu, ad essa corrispondente. In osimano ai pronomi quéstu, quéssu e quéllu corrispondono rispettivamente gli aggettivi stu, ssu e qùl/qùlu (cfr. Gli aggettivi dimostrativi).
L'avverbio di modo italiano così in dialetto osimano si esprime in due modi: ccuscì, che significa così/in questo modo, e lluscì, che vuol dire così/in quel modo. Di queste due forme esistono anche le varianti accuscì e alluscì. Il dialetto osimano ha dunque una struttura bipartita per esprimere questo avverbio, mentre in una fascia che comprende Marche meridionali, Abruzzo, basso Lazio e alta Campania questa struttura è addirittura tripartita, poiché è impiegato anche l'avverbio ssuscì (= così/in codesto modo). L'origine delle tre forme ccuscì, lluscì e ssuscì è parallela più o meno a quella dei pronomi dimostrativi:
- lat. ECCUM SIC "in questo modo" > ccuscì /
ECCUM ISTUM > quistu (quéstu in osimano)
- lat. IPSUM SIC "in codesto modo" > ssuscì /
ECCUM IPSUM > quissu (quéssu in osim.)
- lat. ILLUM SIC "in quel modo" > lluscì /
ECCUM ILLUM > quillu (quéllu in osimano)
In dialetto osimano, sebbene la forma ssuscì non esista, è presente il pronome dimostrativo quéssu, ad essa corrispondente. In osimano ai pronomi quéstu, quéssu e quéllu corrispondono rispettivamente gli aggettivi stu, ssu e qùl/qùlu (cfr. Gli aggettivi dimostrativi).